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In occasione della ricorrenza dell'omicidio Dalla Chiesa riflettiamo insieme: a che punto è la lotta alle mafie? Di Giuseppe Lumia

Sono passati tanti anni dalla strage di Via Carini, a Palermo, dove caddero il valoroso e geniale Generale-Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, la giovane moglie Emanuela Setti Carraro e il fidato agente di scorta Domenico Russo
Sono passati anche molti anni dall’avvio, sempre in quel momento storico, di una fase inedita nell’approccio alla lotta alle mafie del nostro Paese, fino ad allora supino e caratterizzato dal tardivo intervento “del giorno dopo”. 
Certo, è stato fatto un passo avanti, ma dal fiato corto, emergenziale e sempre in ritardo rispetto alle strategie mafiose: prima queste colpiscono e dopo lo Stato reagisce; prima calpestano i diritti umani, attentando agli equilibri sociali, economici, democratici, con il riciclaggio, il traffico di droga, le estorsioni e il controllo degli appalti e della spesa pubblica, con il voto di scambio e l’infiltrazione nelle istituzioni e nell’apparato burocratico, e solo dopo si corre ai ripari; prima si scoprono collusioni e responsabilità istituzionali e dopo si cerca di cucire dei rattoppi. 
La stessa legge “Rognoni-La Torre”, sul riconoscimento dell’associazione mafiosa con il 416-bis e sull’aggressione alle ricchezze dei mafiosi, tanto apprezzata anche da Dalla Chiesa, fu approvata solo il 13 Settembre dal Parlamento, cioè dopo che proprio quell’anno furono uccisi sia chi l’aveva promossa, Pio La Torre, il 30 Aprile, sia chi l’aveva ampiamente sostenuta, Carlo Alberto Dalla Chiesa, appunto il 3 Settembre. 
La stessa storia si è ripetuta all’inizio dei terribili anni Novanta. L’insieme di norme in cui si sostanzia la dirompente intuizione del “doppio binario”, proposta da Giovanni Falcone, con il 41-bis, l’ergastolo ostativo, la costituzione delle Distrettuali Antimafia e della Procura Antimafia e la nascita della DIA, fu licenziato dal Parlamento solo dopo che si consumarono le stragi di Capaci e di Via D’Amelio del 1992. 
Raramente, lungo la travagliata via crucis della lotta alle mafie, abbiamo conosciuto “l’Antimafia del giorno prima”, quella che sa prevenire, anticipare e disarticolare il sistema di potere soprattutto collusivo delle varie organizzazioni mafiose e ottenere pertanto risultati di liberazione dal condizionamento mafioso. 

Un tentativo di andare in tale direzione in effetti c’è stato con l’approvazione del nuovo Codice Antimafia nel Settembre 2011, stabilizzato e reso più efficace e potente nell’Ottobre 2017, con ritocchi apportati pure di recente. In sostanza, si è sistematizzato il “doppio binario” su largo spettro, nelle diverse articolazioni del sistema penale e processuale, dell’ordinamento penitenziario e delle misure di prevenzione patrimoniale, con il sequestro e la confisca dei beni, delle misure interdittive e amministrative. 
Il nostro Codice Antimafia è considerato, dagli studiosi e più accreditati osservatori e operatori in questo campo, come la legislazione più avanzata nell’attuale contesto mondiale. 
È emerso in diverse indagini e nel lavoro di inchiesta della Commissione Antimafia che Dalla Chiesa, nonostante avesse già avviato un lavoro senza precedenti sul piano sociale, preventivo e repressivo, conosciuto appunto come il “metodo Dalla Chiesa”, non ebbe a disposizione questi strumenti normativi. Gli furono promessi ma negati nei fatti. Non li ebbero neppure tanti altri eccezionali servitori dello Stato, mandati in prima linea e allo sbaraglio, per di più contro un sistema collusivo che facilmente li ha colpiti alle spalle. 
Adesso la strategia delle mafie collusive è cambiata, si vuole disarticolare pezzo dopo pezzo il sistema del “doppio binario” contenuto nel Codice Antimafia. Le “menti raffinatissime” hanno convinto i boss che la strategia del “toro impazzito” di fronte al drappo rosso del Codice non è più vincente. La violenza non è scomparsa, ma è meglio lasciarla come extrema ratio. Si preferisce agire e offendere con le stesse armi del diritto: colpire “di fioretto” la legislazione antimafia attraverso argomenti che apparentemente hanno un loro valore. Sul “41-bis” e sull’ergastolo “ostativo”, ad esempio, si usa l’argomento della lesione dei diritti umani e del valore rieducativo della pena. Ma attenzione, adesso la strategia demolitrice si amplierà e prenderà di mira anche le dirompenti misure di prevenzione patrimoniali e le interdittive antimafia, ritenendole addirittura prive di fondamento giuridico. 
Perfino gli innegabili successi “dell’Antimafia del giorno dopo” sono utilizzati per demolire gli strumenti legislativi che ci consentirebbero di passare finalmente a quella “del giorno prima”. La stessa straordinaria e positiva cattura di Matteo Messina Denaro viene strumentalizzata per dichiarare la fine sostanziale di cosa nostra.
Tantissime indagini, inchieste e rigorosi studi odierni ci indicano quali sono i punti cardine delle attuali mafie, per cui è necessario più che mai mantenere in vita il “doppio binario” strutturato nel Codice Antimafia, piuttosto che indebolirlo o demolirlo, come alcune sentenze e proposte legislative hanno iniziato a fare. 

  1. Le mafie sono un sistema retto all’interno da un tale vincolo associativo che resiste alla cattura e alla morte dei capi. Sono una delle poche organizzazioni che è in grado di sopravvivere alla deriva odierna della leadership “dell’Io” presente nella società e nella stessa politica. L’organizzazione mafiosa, quando subisce dei colpi anche pesanti, si riassetta e si riproduce, nonostante il venir meno del leader di turno. Neppure il boss dei boss può alzarsi la mattina e mettere in discussione il vincolo associativo. Il mafioso può uscire dalla propria cosca solo con la collaborazione o con la morte, a meno che non sia la stessa organizzazione mafiosa ad espellere (“posare”) il proprio associato.
  2. Le mafie sono un sistema integrato e collusivo, un insieme di violenza e intimidazioni, di economia e finanza, di politica e apparati istituzionali, di modi di pensare e comportarsi. Sanno mantenere in piedi tutte queste articolazioni, facendo emergere di volta in volta il lato che più conviene, come ad esempio quello degli affari nelle aree lontane dal proprio insediamento storico, senza tuttavia rinunciare alla strategia di usarle nel loro insieme quando trovano spazio o è necessario e utile.
  3. Le mafie sono un sistema integrato che mantiene sempre due livelli di radicamento, quello territoriale e quello globale. Pensare di separare questi due piani porta a cantonate micidiali. Bisogna aggredirli contemporaneamente, sul versante preventivo e repressivo, sia con la legislazione sin qui maturata sia con nuovi profili da realizzare nel contesto europeo e internazionale, mettendo in pista lo Spazio giuridico antimafia globale. 

Ecco perché le intuizioni e il pensiero di Dalla Chiesa, La Torre e Falcone restano attuali e sono semmai da rilanciare. In sostanza, il “doppio binario” è l’approccio normativo più adatto a colpire sistematicamente le mafie nel loro ferreo vincolo associativo, nel loro micidiale apparato di collusioni, nella loro potenza sociale, economica e politica, nel loro devastante modo di procedere locale e globale. 
Verificare l’applicazione del Codice Antimafia, aggiustarlo man mano per renderlo più adeguato ad una strategia del “giorno prima” è il modo più adeguato non solo per sfidare ma per vincere finalmente il potere delle mafie.
Ecco perché dobbiamo riflettere su quelle strategie portate avanti da personalità come Dalla Chiesa, per fare memoria non retorica delle loro idee vincenti e per evitare il genericismo antimafia, strutturando così progettualità di attacco decisivo alle mafie.

di Giuseppe Lumia